mercoledì, luglio 28, 2021

Il Dottor De Donno si è davvero tolto la vita, impiccandosi? Oppure lo hanno aiutato?

Il 27 luglio 2021 il Dottor Giuseppe De Donno, padre della terapia del Plasma Iperimmune, è stato trovato (si dice) impiccato. Si sarebbe tolto la vita. Il Dottor De Donno stava raccogliendo fondi per creare un centro di cure privato ed indipendente ed aveva deciso di dedicarsi interamente a tale progetto, dimettendosi da altri incarichi. De Donno fu oggetto pure dell'attenzione dei N.A.S., prontamente inviati dal Ministero della Salute (salute si fa per dire...) nonché fu bersaglio di attacchi violenti da parte del "mainstream". Ricordiamo quando Bruno Vespa gli chiuse il collegamento durante un intervento nella sua trasmissione di RAI Uno "Porta a porta". De Donno fu isolato e ricevette minacce. In ogni caso non era depresso e di certo uno pneumologo, ben sapendo come si muore per mancanza d'aria, avrebbe scelto un altro modo per togliersi la vita. La versione oltremodo comoda del "suicidio" del medico, che remava contro la regola infame "Tachipirina e vigile attesa", non sta in piedi ed in effetti, se andiamo indietro con la memoria, di impiccati che toccano con i piedi per terra la storia italiana è piena. Un esempio tra tutti è la strage di testimoni legati all'"incidente" di Ustica, allorquando, il 27 giugno 1980, un DC9 della compagnia Itavia fu abbattuto da un missile aria-aria francese. Verità inconfessabile, che andava a tutti i costi nascosta. E così fu, per anni, sino a quando l'ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, all'epoca dei fatti Ministro degli Interni, vuotò il sacco, poco tempo prima di morire. E' bene ripercorrere la scia di morti sospette per comprendere, ora, che cosa sta succedendo con la falsa pandemia, le inoculazioni coatte e la dittatura sanitaria che ci opprime da quasi due anni.

Rosario Priore, nella sentenza-ordinanza del 1999, dedicò un capo, il quarto, alla questione dei 12 decessi dubbi legati, in alcuni casi direttamente mentre in altri meno, alla vicenda dell’abbattimento del Dc9, avvenuto il 27 giugno 1980. E scriveva l’allora giudice istruttore: “Questo delle morti sospette è un capitolo che […] connota l’inchiesta e la rende sui generis, persino al confronto di altre per similari delitti di strage”.

Proseguiva il magistrato romano: “Si dovrà approfondire − e in tal senso non mancheranno le magistrature competenti per territorio, che già hanno preso in considerazione comportamenti dolosi – [dato che] risulta sufficientemente certo che coloro che sono morti erano a conoscenza di qualcosa che non è stato mai ufficialmente rivelato e da questo peso sono rimasti schiacciati”.

Oltre alla vicenda dei tenenti colonnello Ivo Nutarelli e Mario Naldini, al centro dell’indagine difensiva dell’avvocato Daniele Osnato, ce ne sono altre. Due di queste sono legate alle sorti di Ustica e a quelle del Mig libico ritrovato a Castelsilano, in provincia di Crotone, il 18 luglio 1980. Inoltre sono otto quelle di coloro che avevano avuto un ruolo in questa storia e che non fecero in tempo a raccontare tutto quello che di cui erano venuti a conoscenza.

I morti legati ad Ustica e al Mig libico trovato sulla Sila. Cominciamo con i primi due. Il maresciallo dell’Aeronautica militare Mario Alberto Dettori nel 1980 era controllore di difesa aerea a Poggio Ballone e la sera della sciagura è probabile che abbia visto qualcosa dai radar. Ma morì il 31 marzo 1987, quando venne trovato impiccato ad un albero nel Grossetano, in riva al fiume Ombrone. Dopo la strage trascorse in periodo in Francia e si disse che fosse caduto in depressione, sviluppando manie di persecuzione al culmine delle quali si sarebbe ucciso. Ma, scrisse Priorie, “sui singoli fatti [e] sulla loro concatenazione non si raggiunge il grado della prova”.

Il maresciallo Franco Parisi, invece, morì nella periferia di Lecce nello stesso modo, ma più tardi rispetto a Dettori, il 21 dicembre 1995. Controllore a Otranto, non era in servizio il 27 giugno 1980, ma lo era meno di un mese dopo, nella mattinata del 18 luglio, quando fu ritrovato il Mig libico, quello che si vorrebbe caduto quel giorno, mentre diverse risultanze dicono che precipitò una ventina di giorni prima. Parisi fu sentito da Priore tre mesi prima di morire, nel settembre 1995, ma dalla sua deposizione emersero “palesi contraddizioni”, oltre a “incresciosi episodi con ogni probabilità di minacce nei suoi confronti”. Avrebbe dovuto essere risentito nel gennaio 1996, ma non arrivò vivo a quell’appuntamento.

Oltre ai 2 morti di Ramstein, altre 8 vittime. Gli altri decessi riuniti nel capo dedicato alle “morti sospette” rientrano tra i “casi risultati non collegati alla vicenda di Ustica”. È il capitolo che contiene anche i nomi di Nutarelli e Naldini, i due ufficiali deceduti a Ramstein sulla cui fine si chiede oggi di indagare.

Coloro che poi completano l’elenco stilato dal giudice Priore sono il colonnello Pierangelo Tedoldi (morto il 3 agosto 1980 in un incidente stradale sull’Aurelia), il capitano Maurizio Gari (infarto, 8 maggio 1981), il sindaco di Grosseto nel 1980 Giovanni Battista Finetti (23 gennaio 1983, incidente a Istia d’Ombrone), il maresciallo Ugo Zammarelli (12 agosto 1988, incidente stradale a Lamezia Terme), il suo parigrado Antonio Muzio (1 febbraio 1991, vittima di omicidio a Vibo Valentia), il tenente colonnello Sandro Marcucci (2 febbraio 1992, incidente aereo mentre era in servizio antincendio), il maresciallo Antonio Pagliara (decedette lo stesso giorno di Marcucci in un incidente stradale a Lecce), il generale Roberto Boemio (12 gennaio 1983, omicidio a Bruxelles) e il maggiore medico Gian Paolo Totaro (2 novembre 1994, "suicidio" per impiccagione).

Tutti i militari appartenevano all’Aeronautica e gravitavano intorno a missioni di volo o a centri radaristici, soprattutto quello del Grossetano, zona che ha avuto un ruolo particolare nell’inchiesta per via della quantità di persone che qui si concentravano e che non avrebbero detto tutto agli inquirenti. Sulle circostanze di queste morti e in merito all’inchiesta su Ustica, allo stato attuale delle conoscenze, ci sarebbero solo coincidenze.

Tuttavia scrisse ancora Priore: “Questa inchiesta, […] caratterizzata per la massa di inquinamenti, così si distingue per il numero delle morti violente attribuite per più versi a un qualche legame con essa […]. Di fronte a una tale situazione […] non si sarebbero dovute determinare necessità estreme di soppressioni, se non nei casi eccezionali di testi diretti, tecnici, in possesso di larga parte dei fatti. Di testi cioè fonti, non smentibili o da mostrare come usciti di senno”.

AGGIORNAMENTO - Esattamente tre mesi prima (era il 27 aprile) era stata diffusa una notizia falsa, inerente al suicidio di De Donno. La notizia fu ovviamente smentita, ma si è rivelata una sorta di sentenza. Un avvertimento. Giuseppe De Donno aveva infranto i protocolli del Ministero della Salute, per cui doveva togliersi di mezzo, con le buone o con le cattive.

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