domenica, giugno 07, 2009

Happy end? (articolo di Piero Cammerinesi)

LOS ANGELES - Lieto fine per la vicenda di Daniel Hauser, hanno titolato giorni fa buona parte dei giornali americani. Lieto fine? Ma davvero? Sarebbe dunque un happy end quello di un ragazzino di 13 anni che viene costretto a norma di legge a sottoporsi alla chemioterapia? Che viene ricercato dalla polizia in tutto il Paese perché - d’accordo con la madre - vuole sottoporsi a cura alternative anziché alla chemio? Che poi deve abiurare - insieme ai genitori - disconoscendo le proprie scelte per non venir strappato alla famiglia?

Ma ci rendiamo conto dell’abisso di follia in cui stiamo precipitando - complici gli smisurati interessi di «Big Pharma» e delle classi dominanti i cui media ormai hanno preso pieno possesso delle nostre coscienze - con eventi come questi, a seguito dei quali sembra che tutti abdichino allegramente al sano giudizio?

Ma andiamo per ordine. Di Daniel Hauser la stampa italiana ha parlato poco e male. D’altra parte abbiamo anche noi italiani in questo periodo le nostre belle gatte da pelare. Tuttavia quello che oggi accade da questa parte dell’Atlantico potrebbe domani verificarsi anche in Europa, ed in alcuni casi si è già verificato.

Allora cerchiamo di capire di che si tratta.

Daniel Hauser è un tredicenne del Minnesota cui nel gennaio scorso è stato diagnosticato un linfoma Hodgkin. Ha fatto il primo dei sei cicli di chemio che gli sono stati prescritti, ma al momento di sottoporsi al secondo, il ragazzino non si è più presentato in ospedale.

I genitori, convocati dai medici, hanno apertamente appoggiato la sua scelta di non sottoporsi più alla chemioterapia ma di curarsi con metodi naturali, ad esempio quelli sostenuti da un gruppo di nativi americani, Nemenhah (www.nemenhah.org). Hanno affermato con decisione che, nonostante abbia appena 13 anni, dovrebbe essere Daniel a decidere cosa sia meglio per lui. In effetti le cure naturali iniziate stavano dando, a detta della madre di Daniel, degli ottimi effetti ed il ragazzo stava visibilmente migliorando giorno dopo giorno.

Ma l’oncologo che ha in cura il ragazzo non ci sta e minaccia i genitori affermando che, sottoponendosi alla chemioterapia, Daniel avrà il 90% di possibilità di sopravvivere; in caso contrario «quasi sicuramente morirà». I genitori, Coleen e Anthony Hauser si rifiutano di sottoporre il ragazzo al trattamento e così il personale medico li denuncia. I due sono chiamati a comparire davanti al giudice. Ma ecco che - colpo di scena - dal giudice si presenta solo il padre, dicendo di non sapere dove siano madre e figlio, che hanno, nel frattempo, fatto perdere le loro tracce.

Il giudice allora spicca un mandato d'arresto nei confronti della madre ed affida il ragazzo all’assistenza sociale.

Da quel momento inizia la caccia ai due fuggiaschi, rei di essersi sottratti alla chemioterapia coatta. La fuga dura una settimana; madre e figlio vagano nel sud della California, probabilmente cercando di entrare in Messico dove vi sono molte opportunità di cure alternative, considerate da anni illegali sul territorio americano, come l’Essiac (http://www.essiacinc.com) o il metodo Hoxsey (http://www.cancure.org/hoxsey_clinic.htm).

Tuttavia, vista la piega che stava prendendo la faccenda, con la grancassa mediatica dedicata al caso, evidentemente rinunciano a tentare di passare il confine federale per non peggiorare la propria situazione, che avrebbe portato all’arresto della madre ed all’allontanamento di David dalla famiglia. Decidono quindi di ritornare a casa, affiancati da un avvocato che li aiuta ad affrontare la vicenda legale, patteggiando con il tribunale la sospensione del mandato d’arresto nei confronti della madre se Daniel si lascerà visitare da un oncologo.

Così è stato e naturalmente il dottor Michael Richards, da cui è stato prontamente visitato il ragazzo, ha puntualmente affermato che il tumore nel petto di Daniel era notevolmente aumentato da quando aveva terminato il primo ciclo di chemioterapia in febbraio. Il medico ha anche aggiunto che tale secondo ciclo «avrebbe dovuto» migliorare la situazione visto che il primo ciclo aveva avuto un buon risultato, ma, che se «così non fosse stato», si sarebbe dovuto passare a protocolli più forti o a nuovi piani terapeutici. I medici hanno anche escluso di accogliere la richiesta, avanzata dalla famiglia Hauser, di sospendere per periodi più lunghi la chemio, in quanto ciò potrebbe rendere il tumore chemio-resistente.

I genitori e Daniel stesso sono stati quindi costretti ad abiurare pubblicamente davanti alle telecamere al loro proposito di affidarsi a cure alternative, rinunciando espressamente alle medicine tradizionali dei nativi americani per le quali intendevano optare per contrastare il tumore di Daniel.

Così Daniel ha dovuto sottoporsi - pena il ricovero coatto ed il distacco dalla famiglia - al secondo ciclo di chemioterapia presso l’ospedale pediatrico di Minneapolis.

Inoltre, visto che né lui né la madre appaiono convinti di quanto sono stati costretti a scegliere, sono sotto stretta sorveglianza da parte della polizia e dei servizi sociali della Brown County.

Fin qui la cronaca recentissima.

Naturalmente sui media americani e sui siti web è divampata la polemica libertà si-libertà no, diritti del malato e obblighi dei genitori e chi più ne ha più ne metta.

Tutto ragionevole e verosimile, con motivazioni valide da una parte e dall’altra.

Il tutto però sempre eludente un aspetto fondamentale: la questione della possibile validità delle cure cosiddette «alternative», che non viene mai presa in seria considerazione.

In estrema sintesi la maggior parte dei commentatori sostiene che sì, un adulto dovrebbe avere la libertà di terapia anche se non efficace, ma che un ragazzino no, perché non in grado di decidere autonomamente. Ma ci sono i genitori che lo hanno fatto per lui, dicono gli altri. No, non basta, perché loro si affidano ad improbabili cure «alternative» che farebbero morire il ragazzo.

Ma qualcuno si è degnato di andare ad indagare se le cure cosiddette «alternative» siano più o meno dannose o più o meno «efficaci» delle cure ufficiali, che in questo caso vengono addirittura somministrate in maniera coercitiva?

Nessuno. Si parte dal pregiudizio che, non essendo riconosciute dalla Associazione Medica Americana, non possano tout-court essere valide.

Eppure di casi come quello di Daniel ve ne sono stati altri in passato qui negli USA, a partire da quello di Billy Best, anche lui con una diagnosi di linfoma Hodgkin a sedici anni, anche lui costretto a sottoporsi alla chemio. Ma dopo quattro cicli di chemioterapia, che lo avevano quasi ucciso - come lui stesso racconta - Billy decise che ne aveva abbastanza.

Così pensò bene di scappare da genitori e da medici e, aiutato da persone che conoscevano altri percorsi curativi, iniziò delle terapie naturali ed una alimentazione appropriata che lo portarono alla guarigione in breve tempo. Questo quindici anni fa; oggi Billy Best è vivo e sta bene, con buona pace del medico che gli aveva garantito morte certa se non si fosse lasciato sottoporre alla chemioterapia.

«I dottori mi dicevano che c’erano solo tre modi per guarire dal cancro: chirurgia, chemio e radio. Mi volevano togliere anche la milza, nonostante non fosse stata colpita dal male. Mi dissi che se Dio me l’aveva data, qualche ragione c’era. Così lasciai un biglietto ai miei dicendo loro che me ne andavo perché la chemio mi stava uccidendo invece di aiutarmi». (http://www.naturalnews.com/podcasts/InterviewBillyBest.mp3)

Ma i genitori gli risposero che se fosse tornato a casa non sarebbe stato costretto a fare la chemio dato che c’erano altri metodi per affrontare il suo male. Così Billy tornò a casa ed iniziò una dieta priva di carne rossa, di farina, di zucchero, latte e derivati, mangiando prevalentemente vegetali biologici ed utilizzando un potente rimedio naturale, l’Essiac (http://www.essiacinc.com) in grado di eliminare le tossine del corpo. Billy usò anche il 714X (http://www.billybest.net/714X.htm) che guarì la sua malattia in appena due mesi e mezzo.

Pensare che il suo medico gli aveva detto che le sue probabilità di sopravvivenza senza chemioterapia erano inferiori al 5%!
Intervistato oggi sulla vicenda di Daniel, Billy Best oltre a sorprendersi dell’atteggiamento del Tribunale - nel suo caso ebbe parere favorevole nel lontano 1994 - ribadisce che ancora oggi rifiuterebbe senza esitazioni il trattamento.

Ciò detto, cosa dobbiamo pensare di tutta la vicenda?

Ebbene, a mio avviso, in un caso come questo la questione non è tanto - o, meglio, non è solo - se il nostro teenager abbia o meno il diritto di scegliere per sé la cura che ritiene più consona alle sue idee e valutazioni. Il problema è decisamente mal posto.

Infatti, a prescindere dal fatto che, come dicono i medici, la chemioterapia «possa» avere una elevata efficacia sui giovanissimi (mentre il tasso di sopravvivenza degli adulti a cinque anni non supera il 3%), il vero problema è che la medicina cosiddetta alternativa non viene considerata di fatto una… alternativa. E questo a causa dell’ostracismo e della ridicolizzazione messa in atto da decenni da parte della medicina ufficiale - negli USA dalle potentissime AMA e FDA - di ogni metodo che non rientri nella «sacra triade»: chirurgia, chemioterapia, radioterapia.

Mettendo all’indice, con una pervicacia e violenza in tutto e per tutto simile a quella praticata nel passato dalla Santa Inquisizione, qualsiasi percorso curativo che non venga «benedetto» dall’establishment medico. Questo stato di cose ha di fatto impedito che fossero resi noti al grande pubblico dei dati scientifici «oggettivi» sui risultati delle terapie ufficiali confrontati con quelle… «eretiche».

Pertanto la diatriba libertà sì-libertà no dei due schieramenti è falsata alla base da questa fondamentale mancanza.
Non si può scegliere se non si conosce.

La libertà nasce solo dalla possibilità di disporre di dati adeguati per esprimere un giudizio. Ed i dati sono oggi falsati da una parte (medicina ufficiale) ed ignoti ai più dall’altra (medicina alternativa).

Solo un atteggiamento autenticamente scientifico che consenta di produrre sperimentazioni coerenti dei vari metodi curativi, ufficiali ed alternativi, potrebbe dare luogo ad una reale possibilità di scelta.

Fino a quel momento la libertà di scelta sarà solo una bella parola senza contenuto.

Piero Cammerinesi per
EFFEDIEFFE.com
(giornalista italiano, vive e lavora a Los Angeles)



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