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venerdì, aprile 01, 2016

Al via il "processo" ASL imperiese contro Rosario Marcianò



Il 4 aprile 2016 si terrà la prima udienza del "processo" (uno dei tanti) a carico di Rosario Marcianò. Nel dispositivo si legge: "Per aver leso la rispettabilità dell'azienda sanitaria imperiese, pubblicando il libro 'Ho cercato di salvarti'". Il capo d'accusa è "diffamazione aggravata".

Ovviamente il sottoscritto ritiene di aver descritto in modo obiettivo e veritiero il sistema sanitario nazionale nel suo insieme ed a dimostrazione del fatto che si è stati anche teneri ed eufemistici, si pubblica ora, a pochi giorni dal dibattimento nel quale interverrò, guarda caso, come imputato, QUESTA FOTO. Nell'immagine sono ben visibili le lesioni da decubito provocate al compianto papà Pasquale, durante il ricovero nei due nosocomi di Sanremo e Bordighera. Di tali gravissime lesioni mio fratello ed io venimmo a conoscenza solo durante il ricovero presso l'ospedale Humanitas di Rozzano (Mi): qui fu eseguita la diagnosi corretta (ormai tardiva) e cioé Glioblastoma di livello IV.

Un paziente che non poteva muovere un solo muscolo e per di più sedato all'insaputa dei parenti, aveva bisogno quanto meno di presidi ed assistenza idonei per scongiurare la formazione di lesioni da pressione, ma evidentemente non fu così. L'aver poi nascosto ai congiunti la presenza di "ulcere da decubito" costituisce reato perseguibile d'ufficio, senza che sia necessaria querela di parte. Inutile dire che il Pubblico Ministero che decise, invece, il rinvio a giudizio a carico di chi scrive (su suggerimento del famigerato negazionista Federico De Massis alias Task Force Butler), Dottoressa Francesca Scarlatti, sebbene resa subito edotta di tali gravissime "inadempienze", si guardò bene dal prendere provvedimenti a carico dei sanitari che, anzi, oggi sono "parte lesa" nel processo-farsa A.S.L. imperiese vs Rosario Marcianò.

In questo caso siamo di fronte o no al reato di "omissione d'atti d'ufficio"? Siamo inoltre al cospetto del reato di diffamazione oppure alla puntuale e sacrosanta testimonianza di fatti realmente accaduti? A voi il giudizio.




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martedì, dicembre 03, 2013

Wi-fi? No, we die

La morte invisibile che sta falcidiando le nuove generazioni



Quella che risulta essere la principale minaccia per la nostra salute è anche naturalmente quella che più viene tenuta nascosta dai media. Un giro economico più che miliardario, legato ai settori in piena crescita della telefonia e della tecnologia wireless in genere, monopolizza, infatti, l’informazione, impedendo che si sappia a livello di massa un’inquietante verità: l’esposizione alle radiazioni di microonde a (Wi-fi) è causa conclamata di irreversibili danni cerebrali, cancro, malformazioni, aborti spontanei, alterazioni della crescita ossea. E la fascia di popolazione più a rischio è rappresentata in assoluto dai bambini e dalle donne.

Non stupisce quindi che tutto questo fosse ben noto e documentato in ambito medico e scientifico già molto prima che la tecnologia wi-fi dilagasse in tutte le nostre case, arrivando quotidianamente alla portata anche dei bambini. Gli effetti biologici non solo pericolosi, ma letali di questa tecnologia sono stati abilmente tenuti nascosti al pubblico per preservare i lauti profitti delle aziende e per riempire le tasche dei vari Bill Gates, Steve Jobs e Carlo De Benedetti.

Come ha dimostrato il Professor John Goldsmith, consulente dell’Organizzazione mondiale della sanità in Epidemiologia e Scienze della comunicazione, l’esposizione alle radiazioni di microonde wi-fi è diventata ormai la prima causa di aborti spontanei: addirittura nel 47,7% dei casi di esposizione a queste radiazioni, i casi di aborto spontaneo si verificano entro la settima settimana di gravidanza. E il livello di irraggiamento incidente sulle donne in esame partiva da cinque microwatt per centimetro quadrato. Un tale livello potrebbe sembrare privo di senso per un non scienziato, ma diventa più significativo, se diciamo che è al di sotto di quello che la maggior parte delle studentesse riceve in un’aula dotata di trasmettitori wi-fi, a partire dall’età di circa cinque anni in su.

Il dato ancora più allarmante è che nei bambini l’assorbimento di microonde può essere dieci volte superiore rispetto agli adulti, semplicemente perché il tessuto celebrale e il midollo osseo di un bambino hanno proprietà di conducibilità elettrica diverse da quelle degli adulti a causa del maggiore contenuto di acqua. L’esposizione a microonde a basso livello permanente può indurre stress cronico ossidativo e nitrosativo e quindi danneggiare i mitocondri cellulari (mitocondriopatia). Questo stress può causare danni irreversibili al D.N.A. mitocondriale (esso è dieci volte più sensibile allo stress ossidativo e nitrosativo del D.N.A. nel nucleo della cellula). Il D.N.A. mitocondriale non è riparabile a causa del suo basso contenuto di proteine istoniche, pertanto eventuali danni (genetici o altro) si possono trasmettere a tutte le generazioni successive attraverso la linea materna.

L’Organizzazione mondiale della sanità ha evidenziato questi rischi in un documento di 350 pagine noto come “International Symposium Research Agreement No. 05-609-04” (“Effetti biologici e danni alla salute dalle radiazioni a microonde – Effetti biologici, la salute e la mortalità in eccesso da irradiazione artificiale di microonde a radio frequenza”). La sezione 28 tratta in modo specifico i problemi riguardanti la funzione riproduttiva. Questo documento è stato classificato ‘Top secret’ ed i suoi contenuti celati dall’O.M.S. e dall’I.C.N.I.R.P. (International Commission on Non-Ionizing Radiation Protection – Commissione Internazionale per la Protezione dalle Radiazioni Non-Ionizzanti).

Da un ottimo articolo di Barrie Trower pubblicato dall’edizione italiana della rivista "Nexus", apprendiamo quali sono i rischi principali per i bambini esposti all’uso di cellulari e a tecnonologie wi-fi:

L’irradiazione di microonde a bassi livelli influenza i processi biologici che danneggiano la crescita fetale. Non solo, gli stessi processi biologici sono coinvolti nei seguenti casi.

- Barriera ematoencefalica: si forma in 18 mesi e protegge il cervello dalle tossine. Si sa che viene alterata. – Guaina Mielinica: ci vogliono 22 anni perché si formino i 122 strati di cui è composta. E’ responsabile di tutti i processi cerebrali, organici e muscolari. – Cervello: ci vogliono 20 anni perché si sviluppi (vi assicuro che i cellulari non lo aiutano in questo). – Sistema immunitario: ci vogliono 18 anni perché si sviluppi. Il midollo osseo e la densità ossea sono notoriamente influenzati dalle microonde a bassi livelli come pure i globuli bianchi del sistema immunitario. – Ossa: ci vogliono 28 anni per lo sviluppo completo. Come menzionato, il grande contenuto di acqua nei bambini rende sia le ‘ossa molli’ sia il midollo particolarmente sensibile all’irradiazione con microonde. Il midollo osseo produce le cellule del sangue.

Chiaramente, quelli che decidono per noi stanno sottovalutando una pandemia di malattie infantili finora sconosciuta nelle nostre 40.000 generazioni di civiltà, una pandemia che può coinvolgere più di una metà delle mamme/bambini irraggiati al mondo.

Alla luce di questi dati allarmanti e delle previsioni di molti scienziati secondo i quali, se proseguirà con questo ritmo la diffusione incontrollata dei sistemi wi-fi, entro il 2020 il cancro e le mutazioni genetiche saranno diffusi in tutto il mondo a livello pandemico, molti paesi stanno fortunatamente correndo ai ripari, varando leggi che limitano per i bambini l’uso dei cellulari e rimuovendo dalle aule scolastiche i dispositivi wireless.

Il Comitato Nazionale Russo per la Protezione dalle Radiazioni NON-Ionizzanti, in un proprio documento di ricerca intitolato “Effetti sulla salute dei bambini e adolescenti” ha evidenziato nei bambini esposti a queste radiazioni:

1) 85% di aumento delle malattie del Sistema Nervoso Centrale;
2) 36% di aumento dell’epilessia;
3) 11% di aumento di ritardo mentale;
4) 82% di aumento di malattie immunitarie e rischio per il feto.

Nel 2002, 36.000 medici e scienziati di tutto il mondo hanno firmato l’ “Appello di Friburgo”. Dopo dieci anni, l’Appello è stato rilanciato e mette in guardia in particolare contro l’uso del wi-fi e l’irradiazione di bambini, adolescenti e donne incinte. Quello di Friburgo è un appello di autorevoli medici internazionali che in Italia ha purtroppo trovato scarso ascolto.

E allora che fare? Come proteggere noi stessi, e soprattutto i nostri bambini, da questa letale minaccia invisibile?

Il sito Tuttogreen ha diramato un utile prontuario, consistente in dieci consigli pratici, che qui di seguito vi riporto:

1) Non fare usare i telefoni cellulari ai bambini, se non in caso di emergenza. Tollerati gli SMS, ma è meglio ridurre anche quelli. In Francia, non a caso è stata vietata la pubblicità dei telefoni cellulari rivolta ai minori di 14 anni.

2) Usare sempre gli auricolari con cavo (non quelli wireless). Anche l’uso del vivavoce è consigliabile.

3) In caso di mancanza di campo, non eseguire chiamate. In questi casi sarà necessaria più potenza radiante, con conseguenti maggiori radiazioni.

4) Usare il cellulare meno possibile in movimento, come in treno e in automobile. Il rischio costante di diminuzione del segnale aumenta in questi casi l’emissione di radiazioni.

5) Non tenete il cellulare vicino all’orecchio o vicino alla testa in fase di chiamata, quando le radiazioni sono più forti. Fatelo semmai dopo aver atteso la risposta;

6) Non tenete il cellulare in tasca dei pantaloni, nel taschino della camicia o nella giacca che indossate;

7) Cambiate spesso orecchio durante la conversazione e, soprattutto, riducete la durata delle chiamate;

8) Aoperate il più possibile, quando potete farlo, la linea fissa non wireless, oppure strumenti di instant messaging come Skype o similari;

9) Non addormentatevi mai con il cellulare vicino alla testa, ad esempio usandolo come sveglia;

10) Scegliete sempre modelli che abbiano un basso valore di SAR (tasso di assorbimento specifico delle radiazioni).

Aggioungo un undicesimo consiglio: se proprio dovete impiegare un cellulare per comunicare con il mondo che vi circonda, evitate di usare gli smartphone. Sono in assoluto i più pericolosi!

Fonte: Ilrostro.org

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Range finder: come si sono svolti i fatti

venerdì, febbraio 18, 2011

Zebra fish: il pesce anticancro

Curare il cancro con una sostanza derivata dall'embrione di un pesce tropicale geneticamente somigliante all'uomo. É ciò che propone un oncologo milanese, che nel 1998 ha presentato il risultato della sua ricerca condotta su un campione di 400 pazienti oncologici.

Una delle più recenti cure anticancro è una terapia biologica che agisce su principi omeopatici. Consiste nella somministrazione di un preparato (LINK) a base di estratti embrionali ricavati dallo zebra fish, un pesciolino tropicale che ha circa l'80% dei geni in comune con l'uomo. L'estratto ottenuto dal pesce viene somministrato sotto la lingua del paziente in una dose di 300 microgrammi al giorno (30 gocce 3 volte al giorno), con una terapia di lunga durata.

Lo scopritore è il professor Mario Biava, primario di Medicina del lavoro all'Ospedale di Sesto San Giovanni (Milano). La terapia è stata sperimentata per circa quattro anni su 400 pazienti con tumori metastatici alla pelle, seno, colon rene, e linfomi, con risultati sorprendenti. Nell'80% dei casi sono cessati i dolori provocati dal tumore e si sono ridotti gli effetti collaterali (nausee, vomito, diarrea). Nel 50% (dell'80%) dei casi il tumore si è bloccato, mentre nel 5% è regredito (il totale percentuale è superiore a 100 perché le risposte al trattamento si sono talvolta sovrapposte).

Ma è lo stesso professor Biava a raccomandare cautela e prudenza nella valutazione dei risultati: "Non voglio giungere a conclusioni definitive, lo studio è aperto, ci vuole ancora del tempo e uno studio controllato". Per certo sappiamo che la sua terapia è collaterale e non sostitutiva alle cure tradizionali. Inoltre, che è priva di effetti collaterali. Da ultimo fa piacere scoprire che ha un costo contenuto: circa 120 euro al mese.

Gli studi del professor Biava sulla terapia embrionale durano da circa quindici anni. Nell'1988 egli ha pubblicato su Cancer Letters i primi risultati ottenuti sui mammiferi. Nel '97 a Gerusalemme, ha presentato il risultato della sperimentazione sull'uomo, al 14º convegno sui tumori dell'International Academy of Tumor Marker Oncology. Il punto di partenza di queste ricerche sono stati l'embrione e la sua sede naturale: l'utero materno: "Nell'utero materno - fa notare Biava - durante la prima fase dello sviluppo embrionale, sia nell'uomo che negli animali, non si manifestano mai i tumori, nemmeno in presenza di sostanze con alto potenziale cancerogeno". Accade così che i danni provocati dalle sostanze cancerogene vengono riparati all'interno dell'utero stesso dagli stessi fattori di regolazione che spingono le cellule dell'embrione a differenziarsi. É il P53 l'anti-oncogene presente nell'embrione che agisce attivamente ai fini della prevenzione. L'azione della cura messa punto dal professor Biava consiste quanto nell'attivazione dell'anti-oncogene P53 che rallenta la progressione tumorale.

"Il cancro è una patologia complessa in cui sono avvenute diverse alterazioni nelle cellule - spiega il professor Biava. Per comprendere questo cambiamento non ci si può basare su un modello riduzionista, cioè spiegare i vari fenomeni biologici come una serie di singole alterazioni, ma occorre adottare un paradigma complesso. I sistemi complessi, come i cervelli, gli organismi, gli ambienti ecologici, sono costituiti da un vasto numero di entità fra loro interagenti, spesso eterogenee. Per quanto concerne la specie umana, i reticoli di regolazione genetica sono il complesso di interazioni che permettono a determinanti geni di controllarne altri, regolandone la durata e l'intensità del funzionamento e quindi il loro effetto sulle cellule. La rete biologica ha determinate informazioni in grado di programmare correttamente le cellule. Il cancro non e altro che una nuova rete che cerca di svilupparsi in contrapposizione alla rete originaria, stravolgendone il programma della differenziazione cellulare".

L'esempio più facile per comprendere questo non semplice meccanismo illustrato da Biava è quello del computer. Immaginate un virus che entra nel programma e attacca sempre più bit, nello stesso modo il cancro altera la cellula. Per far funzionare il computer dobbiamo riprogrammarlo, così accade con l'uomo: per debellare il cancro dobbiamo riprogrammare il codice genetico e non semplicemente aggiustare le singole mutazioni.

Monica Melotti, N. 8/9 agosto settembre 1998

http://www.prevenzionetumori.it/

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giovedì, febbraio 03, 2011

Pesce zebra: speranza per il recupero da attacco cardiaco

Un piccolo pesce, spesso presente negli acquari di tutto il mondo, potrebbe rappresentare una vera e propria rivoluzione nel trattamento delle malattie cardiache.

Il pesce zebra (Danio rerio) è un piccolo pesce che raramente raggiunge i 7 centimetri di lunghezza, e che viene spesso usato come organismo modello nella ricerca scientifica. Questo pesce ha una straordinaria capacità: è in grado di rigenerare il suo tessuto cardiaco. Il pesce zebra, infatti, è capace di riparare fino al 20% del suo muscolo cardiaco entro poche settimane dall'aver subìto un danno.

E' proprio questa abilità di rigenerazione che apre prospettive interessanti nella cura di patologie cardiache: se si riuscisse a sfruttare questa caratteristica, sarebbe possibile riparare il muscolo cardiaco di un essere umano senza la necessità di trapianti e di interventi chirurgici.

"Se potessimo trovare una tecnica biologica per riparare un muscolo cardiaco danneggiato, questo risolverebbe la necessità di trapianti di cuore per alcune persone che hanno subìto un attacco cardiaco", dice Peter Weissberg, direttore medico della "British Heart Foundation".

La BHF ha recentemente avanzato una richiesta per un finanziamento extra di 50 milioni di sterline nei prossimi cinque anni per sviluppare nuove tecniche di medicina rigenerativa, inclusa la ricerca sulla capacità di rigenerazione dei pesci zebra.

"Scientificamente, riparare cuori umani è un traguardo raggiungibile e potremmo davvero rendere il recupero da un attacco cardiaco semplice quanto recuperare da una gamba rotta", spiega Weissberg. "Ma abbiamo bisogno di spendere 50 milioni di sterline per rendere questo una realtà e attualmente le risorse e gli investimenti di cui abbiamo bisogno non sono semplicemente disponibili".

Statisticamente parlando, le morti da attacco cardiaco sono diminuite nel corso delle ultime decadi, ma il numero degli attacchi cardiaci è aumentato. Secondo il sito CardiacMatters.co.uk, ogni anno e nel solo Regno Unito, circa 146.000 persone vengono colpite da attacchi cardiaci ed oltre 1,4 milioni di persone sopra i 35 anni hanno sperimentato, almeno una volta nella loro vita, un attacco di cuore.

"Abbiamo una grande 'epidemia' di attacchi cardiaci in questo paese... ed ora sappiamo che il pesce zebra è in grado di rigenerare buona parte del suo tessuto cardiaco. Qui c'è uno stratagemma biologico da cui dobbiamo imparare ed adattarlo all'essere umano".

Il pesce zebra è in grado di rigenerare parte del tessuto cardiaco, formando inizialmente un coagulo di sangue nella zona danneggiata per limitare l'emorragia. La membrana epicardio inizia a crescere attorno al coagulo e stimola la ricrescita di nuovo tessuto cardiaco e di vasi sanguigni. Nel giro di qualche settimana, il cuore ritorna alla sua forma originale e riacquista la sua abilità di pompare sangue.

Il pesce zebra è un pesce molto comune negli acquari, considerato ideale per i principianti dell'acquario. E' anche un pesce molto usato nei laboratori di tutto il mondo, poiché rappresenta un organismo modello nello studio dei vertebrati. Non è soltanto in grado di rigenerare il proprio muscolo cardiaco, ma anche pinne, pelle e parte del cervello durante lo stadio larvale.


Fonte:
Ditadifulmine.com


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