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sabato, dicembre 18, 2010

Wikileaks o Wikifakes?

Numerosi dubbi riguardano il recente "evento Wikileaks". Le perplessità non vengono solo dagli stessi governi coinvolti nelle rivelazioni, ma pure da importanti esponenti della comunità internazionale degli hackers nonché da alcuni studiosi di informazione multimediale.

Sulla Rete si legge come Wikileaks possa anche essere stato strumentalizzato (o orchestrato) dagli stessi poteri di cui svelerebbe alcune trame, in modo da ottenere, a causa di questo "problema", una "reazione" tale per cui possano venir inasprite, come "risoluzione", le leggi che regolano, a livello mondiale, la diffusione di informazioni per mezzo di Internet. Più che l'11 settembre della diplomazia, come da alcuni è stato chiamato, potrebbe rivelarsi l'11 settembre della libera divulgazione sul Web.

In più, la pubblicazione di tutto questo materiale riservato (in parte banale, in parte tendenzioso) è destinata ad alimentare forme di guerra psicologica, ad inasprire le relazioni internazionali, creando ancor più ombre, incertezze, sospetti... in definitiva ancora più caos.

Quello del caos è il gioco preferito di chi vuole sempre più incatenare gli 'uomini' a stretti meccanismi ed a norme draconiane, di chi impedisce la nostra libera evoluzione e cooperazione.

Chissà se anche Julian Assange scomparirà come Bin Laden...

Fonte: ilsole24h



Attacco all'informazione CLICCA QUI


CHEMTRAILS DATA

Range finder: come si sono svolti i fatti

lunedì, agosto 11, 2008

Il bavaglio su Internet aspetta solo un grande pretesto

Sono emerse delle rivelazioni stupefacenti in relazione ad alcuni attuali piani governativi che intendono mettere mano al funzionamento di internet per applicare restrizioni e controlli molto più estesi sul web.

Il professor Lawrence Lessig, un autorevole giurista della Stanford University, nel rivolgersi al pubblico che quest’anno presenziava alla conferenza Brainstorm Tech - organizzata da Fortune a Half Moon Bay, in California – ha dichiarato che «sta per accadere una specie di ‘11 settembre di internet’», un evento che catalizzerà una radicale modifica delle norme che regolano la Rete.

Lessig ha anche rivelato di aver appreso nel corso di un pranzo con l’ex “Zar” governativo del controterrorismo, Richard Clarke, che c’è già un 'cyber-equivalente' del Patriot Act, una sorta di ‘Patriot Act per la Rete’, mentre il Dipartimento della Giustizia è in attesa di un evento cyber-terroristico per poterne applicare le norme.

Durante una sessione di un gruppo di discussione, intitolata “2018: Vita sulla Rete”, Lessig ha dichiarato:


«Sta per accadere una specie di ‘11 settembre di internet’ (“an i-9/11 event” nell’originale, NdT). Il che non significa necessariamente un attacco di al-Qā‘ida, bensì un evento in cui l’instabilità o l’insicurezza di internet diventi manifesta durante un fatto doloso che poi ispira al governo una reazione. Dovete ricordarvi che dopo l’11 settembre il governo ha predisposto il Patriot Act in appena 20 giorni e lo ha fatto approvare».


«Il Patriot Act è bel mattone e ricordo qualcuno che chiedeva a un funzionario del Dipartimento della Giustizia come avessero fatto a scrivere un cosi vasto corpus giuridico in così poco tempo, e ovviamente la risposta fu che esso se ne era stato buono buono dentro i cassetti ministeriali per tutti gli ultimi 20 anni, in attesa di un evento che lo avrebbe fatto tirar fuori di lì.»

«Naturalmente il Patriot Act è pieno di ogni sorta di follia su come i diritti civili vengono protetti, o non protetti in questo caso. Perciò mentre pranzavo assieme a Richard Clarke gli ho chiesto se ci fosse un equivalente, se c’era per caso un ‘Patriot Act per la Rete’ dentro qualche cassetto, in attesa di un qualunque considerevole evento da usare come pretesto per cambiare radicalmente il modo in cui funziona internet. Disse: “Naturalmente sì”».


Lessig è il fondatore del Center for Internet and Society alla Stanford Law School. È membro fondatore di Creative Commons, fa parte del consiglio di amministrazione della Electronic Frontier Foundation nonché del Software Freedom Law Center. È ancora più noto quale proponente di riduzioni nelle restrizioni legali nei confronti dei diritti d’autore, dei marchi e dello spettro delle frequenze radio, specie nelle applicazioni tecnologiche.

Questi non sono dunque i vaneggiamenti di un qualche smanettone paranoico.

Il Patriot Act, così come il meno conosciuto provvedimento denominato Domestic Security Enhancement Act 2003 (altrimenti noto come Patriot Act II), sono stati universalmente condannati dai difensori dei diritti civili e dai costituzionalisti collocati lungo tutto l’arco delle posizioni politiche. Queste leggi hanno sguarnito i diritti fondamentali e modellato quel che perfino i critici più moderati hanno definito come un “controllo dittatoriale” ceduto al presidente e al governo federale.

Molti credono che la legge fosse una risposta agli attentati dell’11/9, ma la realtà è che il Patriot Act è stato preparato ben prima dell’11/9 e se ne stava in sospeso, pronto per un evento che ne giustificasse l’applicazione.

Nei giorni successivi agli attentati, la legge fu approvata dalla Camera dei Rappresentanti con una maggioranza di 357 a 66. Al Senato fu approvata con 98 voti a favore e un solo voto contrario. Il parlamentare repubblicano texano Ron Paul dichiarò al «Washington Times» che a nessun membro del Congresso fu nemmeno consentito di leggere il provvedimento. Ora scopriamo che quasi la stessa normativa restrittiva per le libertà è stata già preparata per il cyberspazio.

Un “11 settembre di internet”, così come descritto da Lawrence Lessig, offrirebbe il pretesto perfetto per applicare simili restrizioni in un solo colpo, nonché di offrire la giustificazione per emarginare ed eliminare specifici contenuti e informazioni presenti nel web.

Un tale evento potrebbe presentarsi nella forma di un grande attacco virale, un hacking dei sistemi di sicurezza o dei trasporti ovvero di altri sistemi vitali di una metropoli, o una combinazione di tutte queste cose. Considerando la quantità di domande senza risposta riguardanti l’11/9 e tutti gli indizi sul fatto che fosse un’operazione deviata sotto copertura, non è difficile immaginare un evento simile dispiegarsi nel cyberspazio.

Tuttavia, anche lasciando perdere qualsiasi “11 settembre di internet” o “Patriot Act per la Rete”, c’è già uno sforzo coordinato mirante a circoscrivere il raggio d’azione e l’influenza di internet.

Abbiamo instancabilmente lanciato l’allarme su questo movimento generale teso a restringere, censurare, controllare a alla fine bloccare del tutto internet così come oggi la conosciamo, uccidendo in quel modo le ultime vere vestigia della libertà di parola oggi nel mondo ed eliminando il più grande strumento di comunicazione e informazione mai concepito.

I nostri governi hanno pagine e pagine di norme compilate per mettere le ganasce all’attuale Rete. provvedimenti quali il PRO-IP Act del 2007 /H.R. 4279, inteso a creare uno ‘zar degli IP’ presso il Dipartimento della Giustizia, oppure l’Intellectual Property Enforcement Act of 2007/S. 522, mirante a creare un'intera “rete di rafforzamento della proprietà intellettuale”. Non sono che due esempi.

Inoltre, abbiamo già visto in che modo i più grandi siti web privati ed i social network si stiano concentrando e convergano per realizzare sistemi onnicomprensivi di identificazione, verifica e accesso che sono stati descritti dal fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, come «l’inizio di un movimento e l’inizio di un’industria.»

Alcune di queste grandi società tecnologiche hanno già unito gli sforzi su progetti quali la Information Card Foundation, che ha proposto la creazione di un sistema di carte d’identità per Internet che saranno richieste per entrare in Rete. Naturalmente un tale sistema darebbe a chi lo gestisse la capacità di rintracciare e controllare l’attività degli utenti con molta più efficacia. Questo è solo un esempio.

Non basta. Come abbiamo già raccontato, i più grandi hub dei trasporti, come St. Pancras International, o anche le biblioteche, le grandi imprese, gli ospedali e altre grandi strutture aperte al pubblico che offrono internet wi-fi, stanno mettendo in lista nera i siti web di informazione alternativa rendendoli del tutto inaccessibili ai loro utenti.

Questi precedenti sono semplicemente il primo indicatore di quanto viene pianificato per internet nei prossimi 5-10 anni, con il web ‘tradizionale’ in via di divenire poco più che una vasta banca dati spionistica che cataloga ogni attività delle persone e le bombarda di pubblicità, mentre coloro che si conformano al controllo e alle regole centralizzate saranno liberi di godere del nuovo e velocissimo Internet.

Dobbiamo parlar chiaro riguardo a questa spinta irruente, che mira ad applicare meccanismi di stretto controllo sul web, e farlo ADESSO prima che sia troppo tardi, prima che la spina dorsale di un internet libero si rompa e il suo corpo diventi in sostanza paralizzato senza rimedio.


PrisonPlanet , traduzione di Pino Cabras

Fonte: http://www.pressante.com/
Articolo originale: http://www.pressante.com/big-brother/il-bavaglio-su-internet-aspetta-solo-un-grande-pretesto.html

Scritto da Steve Watson
sabato 09 agosto 2008

Trattato di Lisbona: firma per chiedere il referendum

Aggiorna Tanker Enemy nei tuoi preferiti. D'ora in poi questo blog è raggiungibile digitando http://www.tankerenemy.com/

TANKER ENEMY TV: i filmati del Comitato Nazionale

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martedì, febbraio 05, 2008

Cavi Internet tagliati: l'intreccio si infittisce

Arrivano altre notizie sulla misteriosa faccenda dei cavi Internet sottomarini tagliati. Pare ce ne sia un quarto, sempre nel Golfo Persico tra il Qatar e gli Emirati Arabi.

Inoltre, giungono novità dall'Egitto, uno dei Paesi più colpiti dal blackout internettiano: il Ministero della Comunicazione annuncia che il guasto non è stato determinato da alcuna nave, sia perchè l'area è una no-go zone sia perchè riprese video mostrano che a quell'ora sul posto non stava transitando nessuna imbarcazione.

Nel frattempo qualcuno reperisce precedenti storici, per l'esattezza durante la I Guerra Mondiale quando la Marina Inglese tagliò i cavi telegrafici sottomarini della Germania, sotto la Manica, subito prima di sferrare un attacco a sorpresa. Tali cavi collegavano i tedeschi con tutto il mondo, e finirono in tal modo completamente isolati. Dovettero ricorrere allora alle trasmissioni radio, che vennero così puntualmente intercettate e decrittate dal nemico.
Si trovano, però, anche "precedenti" più recenti, come un documento del Pentagono del 2003, in cui si sostiene che la rete Internet va considerata come se si trattasse di un'arma militare nemica.

Continuano anche ad affastellarsi ipotesi. Le più gettonate al momento, oltre l'intramontabile imminente attacco all'Iran, sono il tentativo di isolare i paesi del Golfo e alcuni del Medio Oriente, e il movente finanziario: si cerca di ostacolare l'intervento su mercati vacillanti da parte dei paesi coinvolti. Intanto i media ufficiali non ne fanno accenno alcuno...



Fonte: Blogosfere.it

sabato, febbraio 02, 2008

Black out Internet: prova generale?

Interner cafè a TeheranDa mercoledì le comunicazioni internet sono interrotte in gran parte dell'Asia, Nordafrica e Medio Oriente.
La causa: sono stati spezzati tre, forse quattro cavi sottomarini. Secondo CNN, «Egitto, Arabia Saudita, Katar, gli Emirati, Bahrein, Pakistan ed India stanno subendo gravi danni economici» perché molti affari (fra cui le prenotazioni aeree) avvengono ormai via web.
Aggiunge sempre la CNN (1), e lo scrivo in grassetto: «Alcune nazioni sono state risparmiate dal caos: Israele - che usa una sua differente via di traffico - il Libano e l'Iraq».

Il primo cavo, FLAG (Fiber-Optic Link Around the Globe) è stato troncato alle ore 8 del 30, sembra al largo di Alessandria d'Egitto, causando la paralisi del 70% del traffico Internet in Egitto, e il 60% in India. FLAG è un cavo che collega Australia e Giappone all'Europa via India e Medio Oriente, e si estende per 28 mila chilometri sotto il mare.

Il tragitto delle dorsali FLAG e SEA-ME-WE 4

Un secondo cavo, SEA-ME-WE 4 (la sigla sta per South Easth Asia, Middle East West Europe) è stato spezzato poco dopo, all'altezza di Dubai, Golfo Persico. Lo stesso giorno.

Navi di riparazione stanno giungendo sul punto della presunta rottura, ma non arriveranno prima del 5 febbraio. A causa di questi «incidenti», tutto il traffico viene sopportato dal più vecchio cavo SEA-M-WE-3, che unisce l'Europa al Medio Oriente via Egitto, e che è molto più «lento».

Venerdì 1 febbraio un terzo cavo viene spezzato, il «Falcon», della stessa ditta che opera il FLAG, e apparentemente sempre nel Golfo Persico, stavolta tra Dubai e Muscat. Il Falcon collega Sri Lanka a Suez (2).

Al Jazeera parla di un altro cavo spezzato «nel Mediterraneo, tra l'Egitto e la Francia»: non è chiaro se si tratti di un quarto «incidente», oppure del primo cavo danneggiato, visto che il FLAG tocca anche Palermo (3).

Ovviamente anche le comunicazioni voce e TV sono praticamente paralizzate nell'area, vastissima, che abbraccia due continenti ed ha come epicentro il Golfo Persico. India ed altri Paesi per cui internet è la spina dorsale della nuova economia stanno compiendo sforzi enormi per riconvogliare il traffico sui cavi del Pacifico, oppure su satellite.

Il Dubai International Airport segnala problemi, e le linee aeree ritardi dei voli. Le Borse dei Paesi musulmani sono chiuse il venerdì, e ciò ha attenuato i danni ai mercati. Varie fonti attribuiscono le tre interruzioni a «tempeste tropicali» o a «una nave che ha gettato l'ancora».

Data la congestione di navi da guerra nel Golfo Persico (dove dovrebbero trovarsi due portaerei USA con le rispettive squadre d'appoggio) e la tensione strategica che interessa quel tratto di mare nel cuore dell'Oriente musulmano, è possibile immaginare altre ipotesi.
Due dei quattro sottomarini israeliani Made in Germany, e dotati di missili con testate atomiche, si troverebbero nel Golfo per minacciare l'Iran di rappresaglia nucleare.

Fatto degno di nota, mentre Israele è miracolosamente immune dal grave problema (dispone evidentemente di sue reti o satelliti protetti), l'Iran è il Paese che appare il più colpito: Teheran è completamente isolata dal mondo, come riporta il sito specializzato www.internettrafficreport.com/asia.htm

Si sono sentiti cali in tutta l'Asia ieri: ma Teheran è stata scollegata

Si sono sentiti cali in tutta l'Asia ieri: ma Teheran è stata scollegata

Per contro, l'Iraq occupato è esente da questi problemi, come Israele (e il Libano). Fatto ancora più curioso, mentre Teheran è isolata, ci si può tuttavia collegare al blog personale di Ahmadinejad, «per quanto con lentezza».

Come sappiamo, immagini e blog hanno mostrato gli orrori dell'invasione dell'Iraq, che l'amministrazione USA avrebbe preferito il mondo non conoscesse. Anche le foto delle torture di Abu Ghraib circolarono su internet, e così i video girati da soldati americani, smentendo la narrativa ufficiale della propaganda americana. Ora le tre rotture - sicuramente deliberate - possono essere preordinate in vista di «qualcosa che sta per accadere», e che è meglio che il mondo non veda? E che apprenda dalla narrativa dei media ufficiali e controllati?

La sola fonte alternativa potrebbe essere il blog di Ahmadinejad, o ciò che viene fatto passare per tale.
O forse è una prova generale di paralisi di Internet a livello globale, dato che la rete ha dato troppi dispiaceri alle «versioni ufficiali»? Le due ipotesi non si escludono a vicenda. Il fatto che l'interruzione sia in corso nel Golfo Persico giustifica le peggiori previsioni.


Maurizio Blondet

Note

1) «Internet failure hits two continents», CNN, 31 gennaio 2008.
2) «New cable cut compounds net woes», BBC, 1 febbraio 2008.
3) «Internet outages hit Middle East», Al-Jazeera, 30 gennaio 2008.


Fonte:
EFFEDIEFFE

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